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I limiti alla crescita: perché un business non può crescere all’infinito.

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I limiti alla crescita: perché un business non può crescere all’infinito – Nel mondo economico contemporaneo, “crescita” è diventata la parola d’ordine. Ogni impresa punta a crescere. Crescita del fatturato, dei clienti, dei margini. Crescita dei canali, delle metriche, dell’impatto. Persino della sostenibilità. 

Ma c’è un problema: niente, in natura, cresce all’infinito.

Ogni ecosistema ha una capacità portante, il punto oltre il quale l’equilibrio si spezza e il collasso si avvicina. Solo l’economia umana, nel suo delirio di onnipotenza, sembra ignorare questa legge.

In questo articolo non parleremo di decrescita come provocazione ideologica, ma come conseguenza naturale del vivere in un sistema chiuso, come lo è il nostro pianeta. Analizzeremo i limiti fisici, energetici e sistemici della crescita continua, e mostreremo perché anche un business che si definisce sostenibile non può sottrarsi a questa realtà.

Perché un’azienda può essere rigenerativa o orientata al bene comune, ma se non riconosce i limiti del contesto in cui opera, sta semplicemente prolungando l’illusione.

E un’illusione sostenuta troppo a lungo, diventa collasso.

I limiti alla crescita: ogni sistema complesso ha dei limiti.

Ogni sistema complesso ha dei limiti.

È una verità semplice, ma potente.

Dall'introduzione del mio libro "La Fine del Capitalismo": Li trovi ovunque: i nostri campi coltivati sono delimitati da ettari di bosco, i nostri testi dai bordi di fogli bianchi, le nostre relazioni da confini a volte invisibili che segnano la nostra identità.

Ma attenzione: questi limiti non sono sempre netti, e spesso non sono nemmeno reali.

Sono convenzioni, narrazioni, linee tracciate con la mente per orientarsi in un mondo troppo vasto e interconnesso per essere contenuto in schemi rigidi.

Eppure, una cosa è certa: la crescita, in natura, non è mai infinita.

Gli alberi smettono di salire verso il cielo, non perché manchi lo slancio, ma perché la gravità e la struttura del tronco impongono un confine fisiologico.

I cervi in una foresta non si moltiplicano all’infinito: lo fanno finché l’ecosistema è in grado di nutrirli.

Persino i batteri in una capsula di Petri, in condizioni ideali, crescono in modo esponenziale… fino al punto in cui le risorse si esauriscono e la colonia collassa.

Questo accade perché ogni sistema complesso vive immerso in un contesto più ampio, da cui riceve energia, nutrienti, informazioni.

Sai come si chiama questa capacità negli ecosistemi?

Ha un nome preciso!

Quel contesto di cui stiamo parlando ha una "capacità portante".

Cioè una soglia oltre la quale l’equilibrio si rompe, e ciò che prima era crescita diventa entropia.

Il paradosso, dunque, è tutto qui: in un mondo dove tutto ciò che vive si evolve attraverso limiti dinamici, noi abbiamo costruito un’economia e un’idea di business basata sull’espansione illimitata.

Senza accorgerci che, così facendo, ci stiamo estinguendo con le nostre stesse mani (e con noi altre centinaia di migliaia di esseri viventi).

L'input più importante è anche quello più limitante.

Il pane non lievita senza lievito, anche se hai tutta la farina che vuoi.

Un bambino non cresce in salute se mancano le proteine, anche con una dieta ricca di zuccheri.

Un’impresa non può operare senza energia, anche se ha una lista infinita di clienti.

E se mancano i clienti, non basta avere energia in abbondanza.

In ogni sistema, ciò che fa davvero la differenza non è quanto hai, ma cosa ti manca.

Questa è la logica del fattore limitante: un principio tanto elementare quanto spesso ignorato.

È il singolo elemento scarso, assente o compromesso a determinare il comportamento dell’intero sistema.

Eppure, ci ostiniamo ad agire come se fosse sufficiente spingere su ciò che conosciamo o controlliamo.

In agricoltura, si aggiungono fertilizzanti chimici sulla base dei nutrienti noti come fosforo, azoto e potassio, ma senza chiedersi se esistano altre sostanze invisibili, o se quegli stessi fertilizzanti stiano alterando irrimediabilmente le reti microbiche che rendono fertile il suolo.

Nell’economia globale, si esportano tecnologie e capitali nei paesi poveri, convinti che basti “dare gli strumenti giusti”.

Ma e se il vero limite fosse altrove?

In una cultura del sospetto, in istituzioni fragili, in relazioni sociali compromesse, in una identità che non sono in grado di esprimere a causa del colonialismo?

Il paradosso è che interveniamo sui sintomi, ma ignoriamo la radice del problema.

E ogni volta che trascuriamo il fattore realmente limitante, non solo non risolviamo nulla: rischiamo di peggiorare la situazione

In realtà la stessa economia moderna è nata in un’epoca in cui i principali limiti alla produzione erano il capitale e la manodopera.

Non sorprende, quindi, che i modelli economici classici si siano sviluppati attorno a questi due fattori e, solo in tempi più recenti, abbiano iniziato a includere anche la tecnologia come terzo elemento cruciale.

Ma c’è un problema.

Sai quale?

Uno di quelli che Marx non aveva calcolato nel suo passaggio da una società capitalista ad una comunista.

Con l’espansione del sistema economico globale, i veri fattori limitanti si sono spostati altrove.

Oggi ciò che frena la produzione e mina la stabilità dei sistemi non è la scarsità di investitori o di forza lavoro, ma la disponibilità di aria respirabile, di acqua potabile, di materie prime accessibili, di spazi vivibili, di risorse rigenerative.

Eppure, l’economia continua a girare come se fossimo ancora nel secolo scorso.

Continua a concentrarsi sulla crescita di capitale e produttività, ignorando che il vero collo di bottiglia è ecologico, sociale, sistemico.

Un esempio classico utilizzato nei corsi di sistemi complessi, a partire dagli studi di Jay Forrester, mostra come anche un’impresa in forte crescita possa collassare se ignora i propri limiti reali.

Immagina una giovane azienda, dinamica, con un team vendite straordinario.

Gli ordini arrivano in massa, ma la produzione non riesce a stare al passo.

I tempi si allungano, i clienti si spazientiscono, la reputazione crolla.

Il limite non è la domanda, ma la capacità produttiva.

Allora si investe in nuovi impianti, si assumono persone… ma tutto questo introduce nuovi vincoli: più capitale da gestire, più personale da formare, più tempo per coordinare.

Il limite, insomma, si sposta continuamente.

E se non impari a vederlo e a riconoscerlo, finirai sempre per inseguire la crescita… senza capire che è proprio quella rincorsa ad aver innescato il problema.

La verità è che ogni volta che un limite viene superato, la crescita lo sostituisce con un altro.

È un ciclo continuo.

Ogni pianta, ogni bambino, ogni impresa, ogni città, ogni economia in espansione si muove dentro un ecosistema di risorse e vincoli che si modificano reciprocamente.

Crescere significa inevitabilmente alterare l’equilibrio che prima sosteneva la crescita stessa.

E quindi ogni avanzamento porta con sé nuove soglie, nuovi ostacoli, nuovi colli di bottiglia.

Questa è una delle intuizioni più lucide che ho trovato nel lavoro di Donella H. Meadows, autrice di Pensare per sistemi: capire davvero un processo di crescita significa guardare non a ciò che è abbondante, ma a ciò che sta per diventare limitante.

Solo così è possibile sviluppare una consapevolezza sistemica.

Solo così si può esercitare un controllo responsabile, non solo sulla direzione della crescita, ma sulle sue conseguenze più profonde.

Ed è qui che la crescita illimitata, persino quella sostenibile, mostra il suo inganno: ogni crescita, per quanto virtuosa, esaurisce e sposta i suoi stessi limiti.

Cosa significa tutto questo per un business?

Che continuare a crescere come obiettivo primario porta inevitabilmente verso l’instabilità.

Perché il sistema stesso, crescendo, modifica le sue condizioni di sopravvivenza.

In altre parole: più cresci, più cambi il contesto.

E più il contesto cambia, più rischi di non essere più adatto a viverci dentro.

Ecco perché una vera impresa sostenibile non può inseguire la crescita quantitativa infinita, ma deve imparare a leggere i propri limiti in modo dinamico e intelligente.

La crescita infinita è solo una illusione.

Per qualsiasi sistema fisico che viva dentro un ecosistema finito, la crescita infinita è un’illusione.

Non si tratta di decidere se crescere o meno, ma di scegliere entro quali limiti farlo.

Perché i limiti ci sono. Sempre.

Una città che riesce a soddisfare tutti i bisogni dei suoi abitanti attirerà nuove persone… fino al punto in cui quel flusso farà collassare la sua capacità di garantire qualità della vita.

Un’azienda che offre un prodotto eccellente a un prezzo accessibile riceverà così tante richieste da non riuscire più a mantenere standard, costi o tempi.

Ogni successo, se non contenuto, si autodistrugge.

Ecco il punto: o scegliamo noi i nostri limiti, o sarà il sistema in cui siamo immersi a imporceli.

Possiamo decidere consapevolmente quanto crescere, quando fermarci, come redistribuire l’energia e le risorse di cui disponiamo.

Oppure possiamo ignorare tutto questo e continuare a espanderci… finché l’ecosistema, che ha regole sue non negoziabili, ci costringerà a farlo.

E lo farà con modalità che spesso non prevedono appello: crolli ecologici, collassi economici, disgregazione sociale.

Nessun sistema complesso può espandersi all’infinito senza incontrare conseguenze.

Il vero atto di maturità, per un’impresa, una città, una società, è imparare ad abitare i propri limiti.

Perché non sono nemici della crescita.

Sono ciò che la rende possibile e sostenibile.

I limiti alla crescita: il business come limite.

Non so se ti sia mai capitato di avere una azienda tutta tua.

Non una azienda di consuelenza o di vendita di beni intellettuali, intendo più una azienda di beni fisici.

Come di saponi, di miele, di vestiti, ecc.

Sai perché te lo chiedo?

Perché in quel contesto comprendi molto bene come non esistano davvero limiti di crescita.

Prima di tutto nel nostro approccio imprenditoriale.

Faccio un esempio semplice.

Quando fui assunto da Bioapi, la prima azienda di apicoltura in Italia ad aver aderito alla certificazione biologica, il mio ruolo era strettamente operativo: dovevo produrre miele, invasettarlo e venderlo.

E dopo aver estratto il miele dai favi, nella gestione del magazzino, capitava che dovevamo ordinare nuovi vasetti.

E cosa facevo?

Semplice.

Chiamavo l'industria vetraia che li produceva e ordinavo una nuova fornitura.

Non so se te ne sei resa/o conto, ma questo passaggio è il primo vero problema di superamento dei limiti.

Sai perché?

Perché quando chiami l'azienda che produce vasetti, dai per scontata una cosa.

Che ci siano.

Che siano già stati prodotti e che siano disponibili all'acquisto.

E sai perché?

Perché il modello capitalista, proprio nel perseguimento del suo obiettivo profitto veloce, ha standardizzato tutto.

Al fine di rendere più efficiente il sistema, abbassando i costi ed aumentando i margini.

Ma questo ha creato un pericoloso bias cognitivo: il dare per scontato che si possa fare tutto quello che vogliamo, nella quantità che desideriamo.

Io stesso per scontato che qualcuno, da qualche parte, avesse già estratto la sabbia silicea necessaria a produrre il vetro.

Che l’avesse lavorata, fusa, modellata, impilata su pallet, trasportata fino a un magazzino e infine resa disponibile per il mio ordine.

Come se tutto fosse già ovvio o scontato.

Come se ci fosse un magazzino infinito di risorsa pronta solo ad essere acquistata.

Ma la realtà è ben lungi dall'essere in questo modo.

Sai perché?

Perché in primis il luogo dal quale estraiamo le risorse è un sistema ecologico non un magazzino fatto di quattro pareti di cemento.

Non solo.

L'estrazione comporta di dover rompere degli equilibri, magari evolutasi in migliaia di anni, oltretutto di una risorsa che per quanto rigenerativa possa essere, sarà sempre limitata al tasso di estrazione.

Pensa ad esempio al mare e al pesce che vive nelle sue acque.

Se pescassimo a un livello tale da danneggiare il fondale e l’ambiente in cui i pesci vivono e si riproducono, nel giro di pochi anni quel tratto di mare non sarebbe più in grado di rigenerare la propria fauna.

Quando il tasso di estrazione della risorsa supera quello di rigenerazione siamo di fronte ad una trasformazione profonda.

In pratica, stiamo compromettendo la capacità rigenerativa dell’ecosistema, trasformando una risorsa rinnovabile in una risorsa non più tale.

Tornando ai nostri vasetti, quel gesto apparentemente banale, ordinare senza pensarci, rivela qualcosa di molto più profondo.

Nella nostra mente, non esistono limiti alla crescita.

E non è un caso isolato.

Ti sfido a trovare un’azienda certificata B Corp o Società Benefit che abbia dichiarato pubblicamente di voler porre un limite alla propria espansione.

PS. Non la troverai mai (o molto raramente).

Perché qualunque business che cresce, anche con i migliori intenti, tende a farlo all’infinito.

Ed è qui casca l’asino.

Anche l’influencer della sostenibilità, convinto di fare del bene, punta a raggiungere il maggior numero possibile di persone per “portare il più grande e significativo cambiamento.

Ma quale cambiamento può esserci se le relazioni che costruisce sono solo, o quasi esclusivamente, interconnessioni deboli?

La natura funziona in modo molto diverso.

I sistemi complessi che ci circondano non crescono all’infinito, né si centralizzano in pochi nodi ipertrofici.

Preferiscono una rete distribuita, decentralizzata, fatta di tanti piccoli elementi connessi tra loro, piuttosto che di pochi centri dominanti.

È da lì che nasce la resilienza.

Non dalla scala, ma dalla varietà e forza dell'interconnessione.

I limiti alla crescita: fondamentali per la sostenibilità.

Come ho già espresso ampiamente in alcuni miei articoli, fra cui: Cos’è davvero la sostenibilità? la sostenibilità non è spesso ciò che pensiamo.

Essa non è ambientale, ne sociale, ne tantomeno economica.

La sostenibilità, nel senso sistemico del termine, è uno stato di equilibrio dinamico all’interno di un intervallo di funzionalità, che tiene conto di tutte le interconnessioni che il sistema o il business ha creato nel tempo.

In questo senso, i limiti non sono un ostacolo: sono parte integrante dello stato di sostenibilità.

Non può esistere equilibrio dinamico senza confini.

Non può esistere funzionalità sistemica senza soglie.

Ogni specie, in natura, cresce fino al punto in cui incontra un limite.

Per l’essere umano, questo limite si è già presentato: si chiama crisi ecologica.

È il modo con cui la natura sta cercando di ridimensionare, o eliminare, il problema.

Ed è proprio qui che entra in gioco il vero paradosso.

Il capitalismo, inteso come modello orientato alla massimizzazione del profitto, è strutturalmente incompatibile con qualsiasi forma reale di sostenibilità.

Anzi, lasciami essere ancora più chiaro: il capitalismo è oggi il principale ostacolo alla sostenibilità della biosfera.

Ecco perché mi viene da sorridere amaramente quando vedo persone entusiaste di fronte a un nuovo “prodotto sostenibile”, certificato, impacchettato bene e venduto in edizione limitata.

Perché se quel prodotto è stato creato all’interno dello stesso modello estrattivo, orientato al profitto, allora non è una soluzione.

È solo un modo elegante per rallentare una catastrofe già in corso.

Non si può progettare un futuro rigenerativo con le stesse logiche che hanno distrutto il passato.

Bisogna imparare ad immaginarci un nuovo mondo e modello basato su presupposti (che si chiamano valori e visione) completamente diversi.

La risposta che stai cercando non la troverai all'interno di questo sistema.

Ma nel luogo spesso più semplice e talvolta inesplorato esistente: dentro te stessa/o.

Tu sei biodiversità, sei una delle strategie più potenti della natura che utilizza per sopravvivere.

Lei ha già scommesso su di te.

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Tutto è un sistema: piante, business, società… persino tu. I batteri hanno plasmato l’atmosfera, gli alberi comunicano attraverso le radici, i venti modellano i deserti. Ma se tutto è un sistema, perché nessuno ti ha mai insegnato a leggerlo? Senza giri di parole: Systemic Flow ti mostra come funziona il mondo. Perché chi non capisce il sistema, ne subisce inevitabilmente le sue regole.
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