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CSRD e obiettivi ESG: quando la sostenibilità è solo una metrica.
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CSRD e obiettivi ESG: Ormai lo scrivono ovunque. Nei report annuali, nei comunicati stampa, sulle brochure delle multinazionali. “Obiettivi ESG”. “Rendicontazione di sostenibilità”. “Compliance CSRD”. È diventata ormai una nuova lingua. Fatta di acronimi, standard, direttive europee. Ma dietro questa corsa alla rendicontazione c’è un problema profondo. Perché quando misuri un comportamento che nasce da un obiettivo sbagliato, non stai correggendo il sistema. Stai solo ottimizzando la distruzione.
Vuoi capirne di più? Allora sei nel posto giusto...
CSRD e obiettivi ESG: il quadro generale.
La crisi ecologica che stiamo vivendo è davvero senza precedenti.
O meglio: è senza precedenti chi ha causato questa trasformazione.
No, non mi sentirai parlare di “Antropocene”.
Un’etichetta comoda, neutra, perfettamente adatta ai convegni internazionali.
Un termine capitalista, in fondo, utile a coprire la verità.
Perché non è stato “l’uomo” generico a devastare il pianeta.
È stato un certo tipo di uomo.
Sai di cosa parlo?
Bianco. Maschio. Colonizzatore. Capitalista.
Un soggetto che ha costruito un sistema perfettamente calibrato per trasformare ogni relazione in una risorsa.
Ogni albero in un’unità di legno.
Ogni corpo in una funzione produttiva.
Ogni futuro in un margine trimestrale.
Detto questo, il vero nodo del problema è che questa crisi ecologica, sta mettendo a repentaglio la stessa sopravvivenza delle grandi aziende e multinazionali.
Sai perché?
Te lo spiego in modo facile e comprensibile.
Almeno spero ;-)
Ti faccio una domanda: perché le persone comprano prodotti dalle multinazionali?
Lo so, sembra una domanda stupida delle mie, ma è molto più profonda.
Prova a rispondere.
Comprano dalle multinazionali perché i loro prodotti hanno solitamente un prezzo ottimo per chi acquista.
Soprattutto se paragoniamo lo stesso prodotto con uno artigianale.
Quindi detto in modo essenziale: le persone comprano prodotti dalle multinazionali perché sono esteticamente ben progettati, e hanno solitamente un costo relativamente basso.
Poi c'è la crisi ecologica.
Tu mi dirai: e cosa centra?!
Te lo spiego subito.
Mentre negli anni passati le multinazionali hanno potuto costruire i loro imperi e il oro posizionamento grazie ad un flusso di materie prime e mano d'opera incontrollato, oggi questo scenario sta cambiando radicalmente.
I sistemi ecologici non riescono più a dare risorse come prima, perché prima ci trovavamo in una situazione completamente diversa.
Una situazione di abbondanza e forte biodiversità.
Oggi invece il capitalismo ha in parte completamente distrutto non solo la capacità rigenerativa delle risorse, ma sta esaurendo anche le relazioni che ci sono tra vari elementi del sistema (impoverimento pericolosissimo di biodiversità, vera tragedia della crisi ecologica, molto più della stessa crisi climatica).
Questo significa solo una cosa: minore estrazione di materie prime e maggior costo della risorsa.
Maggior costo della risorsa significa aumenti dei prezzi dei prodotti.
Fin qui tutto bene, o quasi diciamo.
Il problema qual'è però?
Che come ho detto prima, le multinazionali hanno costruito tutto il loro posizionamento proprio su questo.
Cioè se io alla fine compro una t-shirt da una multinazionale piuttosto che da un artigiano locale, è appunto per il prezzo.
Proprio perché quella artigianale, se fatta bene, è di gran lunga superiore qualitativamente parlando rispetto a quella fatta in serie.
Non solo per quello che riusciamo a percepire attraverso i nostri sensi, ma anche in qualità sommersa, qualità che non vediamo direttamente.
Sto parlando dei tipi di contratti che vengono fatti a chi produce quella maglietta, ai salati, alla salute sul lavoro, alla qualità delle materie prime, agli spostamenti che fanno quelle materie prime, ecc.
Detto senza mezzi termini, se una maglietta la paghi 15€ è perché non stai pagando i costi sommersi che invece paga la collettività e la biosfera.
Quindi il problema è molto semplice, le multinazionali stanno già oggi estraendo e pagando le materie prime, più del passato.
Questo comporta un aumento dei prezzi dei loro prodotti.
E di conseguenza decade il motivo stesso per cui le persone comprano da loro.
Decade il motivo per cui esistono.
E quindi come hanno pensato di risolvere questo problema?
Non fare assolutamente nulla. Ne siamo sicuri?
Te e altri tre amici ed amiche state tornando dalla montagna dopo un weekend insieme.
Siete in macchina, rilassati, quando a un certo punto il guidatore vede, a circa 500 metri, un muro che chiude la strada.
Cosa farà?
La prima cosa sarà rallentare.
La seconda — quasi automatica — cercare un’alternativa, una strada diversa da imboccare prima dell’impatto.
Ecco, questa scena è una metafora perfetta di ciò che sta succedendo oggi.
Il muro è la crisi ecologica.
L’auto con voi a bordo rappresenta l’umanità, le persone comuni.
Il taxi che viaggia sulla corsia accanto invece è il sistema delle grandi aziende, delle multinazionali.
La strada? I modelli economici e produttivi che seguiamo per raggiungere i nostri obiettivi.
Ma manca ancora un pezzo.
Tutti i dati scientifici che da anni ci segnalano l’arrivo imminente di quel muro: lo possiamo immaginare come il personale del traffico che, con tanto di palette e segnali lampeggianti, urla: “La strada è chiusa. Davanti c’è solo un muro.”
Ora ti faccio una domanda.
Qual è la differenza tra l’auto con te e i tuoi amici, e quel taxi?
Voi state tornando da un weekend. Potete decidere di cambiare strada, anche all’ultimo.
Il tassista invece no.
Il tassista guadagna portando le persone verso quella direzione. Il suo modello di business è legato al fatto che gli altri credano che quella strada sia ancora percorribile.
E allora che fa?
Sminuisce il pericolo.
Dice: “Tranquilli, non è un muro, è solo una curva.”
Oppure: “Va bene, rallentiamo un po’. Così lo schiviamo.”
Il punto è che non sta cercando un’alternativa.
Sta solo cercando di sopravvivere abbastanza a lungo da incassare la prossima corsa.
Questo è esattamente quello che stanno facendo le multinazionali.
Sai perché lo so?
Perché conosco bene i sistemi complessi.
Se vuoi capirne di più ti suggerisco questo articolo → Cos’è un sistema complesso: perché non lo capisce quasi nessuno?
So che quando un sistema cambia obiettivo, e l’obiettivo è ciò che genera quasi tutto il comportamento di un sistema, diventa qualcosa di completamente diverso. Irriconoscibile.
Incoerente con la sua identità, i suoi valori (anche se sono solo una messinscena di marketing - ti ricordo che per una azienda capitalista la visione è fare profitto nel minor tempo possibile, non quelle scritte nelle vision dei loro siti web).
Questo significa che per molte multinazionali è già troppo tardi per cambiare davvero.
Non solo tardi: sistemicamente pericoloso.
Ti faccio un esempio.
Immagina se McDonald’s, invece di comunicare la sua classica vision “diventare un’azienda ancora migliore, servendo più clienti con cibo delizioso ogni giorno in tutto il mondo”, adottasse una nuova visione radicale: “Un mondo in cui le persone siano profondamente in connessione con la natura e con il cibo da cui proviene.”
Sarebbe un’azienda completamente diversa.
Niente più colori accesi, niente più logo, niente più hamburger a poco prezzo.
Crollerebbe il motivo stesso per cui esiste.
Perché il suo modello sistemico non reggerebbe un cambio così profondo.
E allora, che fanno?
Semplice: non cambiano.
Creano spin-off. Brand paralleli. Startup “green” con tanto di foglioline nel logo e claim rigenerativi.
Sempre sotto lo stesso consiglio di amministrazione.
Sempre con lo stesso obiettivo: massimizzare il profitto nel minor tempo possibile.
Perché lo scopo, per queste aziende mastodontiche, è uno solo: spolpare la preda finché il sistema glielo permette.
E poiché sono proprio loro ad avere in mano gran parte del potere economico e politico globale, sono anche quelle che scrivono le regole del mercato in cui operano.
Un gioco truccato, insomma.
E che parte hanno in questa storia gli CSRD e obiettivi ESG?
CSRD e obiettivi ESG: l'illusione di cambiamento.
Ormai, come potrai intuire, la risposta è abbastanza semplice.
La CSRD, gli obiettivi ESG, le metriche GRI, le certificazioni BCorp e ogni altra etichetta “green” non sono nate per cambiare davvero il sistema.
Sono, al contrario di come chiunque può pensare, sono nate per proteggerlo.
Per creare l’illusione di un cambiamento mentre tutto resta esattamente com’è.
Queste metriche servono a misurare comportamenti che derivano da un obiettivo sbagliato (profitto veloce e massimizzazione del valore per gli azionisti) senza mai mettere in discussione quell’obiettivo.
Una frase che chi mi segue ha sentito dire spesso è: “Il greenwashing non esiste.”
Ti spiego perché.
Il concetto di greenwashing avrebbe senso solo in un sistema in cui la maggior parte delle imprese fossero realmente orientate alla sostenibilità, e qualcuno, il “cattivello” di turno, provasse a ingannare il pubblico con strategie di facciata.
Ma quando la quasi totalità (e uso “quasi” solo per un briciolo di ottimismo) delle aziende ha come unico vero obiettivo il profitto, allora non siamo di fronte a un’eccezione.
Siamo di fronte a una regola.
Ad un modello.
E quel modello ha un nome ben preciso.
Sai come si chiama?
Capitalismo.
E cosa succede quando misuri attraverso delle metriche e parametri di un sintomo piuttosto che della causa (cause) del problema?
Succede che un’azienda può fare greenwashing usando dati veri.
Numeri certificati. Report patinati. Indicatori “oggettivi”.
Ma tutto dentro la stessa logica che ha causato la crisi.
È come se una persona tossicodipendente iniziasse a monitorare con precisione millimetrica la quantità di sostanza che assume ogni giorno.
Magari riduce le dosi, prende vitamine, si idrata meglio.
Ma resta un tossicodipendente.
Il problema non è nella gestione. È nel sistema che alimenta quel comportamento.
Ecco perché l’intero impianto di rendicontazione ESG è destinato, prima o poi, a implodere su sé stesso.
Non perché non servano strumenti di valutazione.
Ma perché non puoi valutare la sostenibilità con le metriche del capitalismo.
Non puoi usare la logica dell’efficienza per misurare l’equilibrio.
Non puoi rendicontare ciò che non sei disposto a trasformare davvero.
E allora chiediamocelo una volta per tutte: a cosa serve misurare un comportamento che nasce da una dipendenza patologica?
A giustificarla.
A renderla accettabile.
A farla sembrare evoluzione, quando è solo una strategia di sopravvivenza del sistema.
Un sistema che non vuole guarire.
Vuole solo sembrare sano abbastanza a lungo da continuare a distruggere tutto ciò da cui dipende la vita stessa.
Questo non è cambiamento.
È marketing esistenziale.
E noi, se non impariamo a vederlo per quello che è, finiremo per applaudire chi ci sta portando al collasso, solo perché lo fa con i numeri "giusti".
CSRD e obiettivi ESG: il mito del denaro come problema.
A questo punto le persone si dividono grossomodo in due linee di pensiero.
La prima prende coscienza del capitalismo e di quanto le sue dinamiche siano strutturate in ogni suo comportamento.
La seconda invece ti dice che è sempre stato così, e che è normale che tutti i business pensino al profitto.
Facciamo però prima due passi indietro cercando di non cadere.
Partiamo dallo sfatare un pregiudizio grande quasi come il capitalismo stesso.
Non è il denaro la causa del capitalismo, ne uno dei flussi che lo alimenta.
Malgrado quel che si pensi l’utilizzo della moneta non nasce nemmeno “dopo” il baratto come spesso ci viene raccontato.
In realtà, il mito del baratto come sistema originario di scambio è una costruzione teorica, principalmente promossa da economisti come Adam Smith nel XVIII secolo, nella La ricchezza delle nazioni (1776), a teorizzarlo per giustificare l’emergere dell’economia di mercato.
Cosa diceva realmente Adam Smith?
Immaginava che, in un contesto pre-monetario, gli individui scambiassero beni in modo diretto (“ti do due capre per una zappa”), ma che questo sistema fosse inefficiente per via del problema della “doppia coincidenza dei bisogni”.
Da lì, secondo lui, sarebbe nata la moneta: per risolvere questo ostacolo logistico.
Il problema è che però:
-
Non esistono prove storiche concrete di società basate esclusivamente sul baratto tra individui sconosciuti. Le economie pre-monetarie funzionavano per lo più sulla base di relazioni sociali, obbligazioni reciproche, doni e redistribuzione (come nei sistemi tribali o nei templi mesopotamici).
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La prima forma di “moneta” nasce in Mesopotamia, attorno al 3000 a.C., non come mezzo di scambio, ma come unità di conto per gestire debiti, tributi e razioni, spesso in templi o istituzioni centrali. Si trattava di quantità standard di orzo o argento usate per regolare rapporti economici all’interno di strutture sociali complesse, non per mercanteggiare al mercato.
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Le prime vere monete coniate (cioè pezzi fisici con valore nominale garantito da un’autorità) compaiono in Lidia (attuale Turchia) attorno al VII secolo a.C., sotto il regno di Alyattes, principalmente per pagare eserciti e tasse, non per sostituire il baratto tra privati.
Per approfondire ulteriormente questo argomento, ti consiglio il seguente libro: David Graeber – Debt: The First 5000 Years
Quindi no, non è il baratto a precedere la moneta.
E no, la moneta non nasce per facilitare lo scambio tra individui liberi e razionali in un mercato primordiale.
Nasce dentro a istituzioni centralizzate di potere.
Per misurare, controllare, tassare.
Nasce dall’alto, per tenere traccia dei debiti, dei tributi, delle razioni.
Non per rendere la vita più facile ai pastori di capre e ai fabbri di zappe.
Ed è qui che arriva il punto più importante.
Il problema non è la moneta.
Il problema è al servizio di cosa metti quella moneta.
È come un coltello: può tagliare il pane o ferire.
Dipende dalla mano che lo impugna e dall’intento.
La moneta è un mezzo.
Quando la moneta viene messa al servizio della comunità, della reciprocità, della cura, può funzionare come strumento utile, persino virtuoso.
Ma quando la moneta diventa misura unica di valore, quando diventa l’obiettivo invece che il mezzo, quando permetti a privati di accumularne senza limiti, allora si apre la strada al capitalismo.
Un sistema che non ha bisogno di schiavitù formale, perché ha costruito una schiavitù sistemica: quella dell’individuo al profitto, quella delle imprese alla crescita infinita, quella delle istituzioni alla competizione economica globale.
E il passo successivo è già scritto.
Se il denaro è misura di tutto, tutto diventa scambiabile: l’acqua, le foreste, la salute, le relazioni, il tempo.
E, oggi, perfino la sostenibilità.
Ecco perché i bilanci ESG e la CSRD sono sicuramente strumenti neutri, ma nati ed utilizzati all'interno di un modello tutt'altro che neutro.
Sono parte di una narrazione in cui la vita stessa viene misurata con parametri nati non per comprendere il mondo, ma per ottimizzare il profitto.
Il problema non è rendicontare.
Il problema è cosa rendiconti.
Se la tua azienda misura l'impatto positivo che genera, ma sempre come conseguenza dell'obiettivo centrale profitto, allora puoi anche scrivere mille pagine di report ESG.
Ma resterai parte del problema.
Il denaro non è colpevole.
Ma è diventato il Dio muto a cui abbiamo consegnato ogni decisione.
A cui abbiamo consegnato la nostra stessa vita.
Bibliografia e Link
Sistemi complessi e visione sistemica
-
Donella H. Meadows – Thinking in Systems. A Primer
Una guida chiara ed essenziale alla comprensione dei sistemi complessi. Spiega perché cambiare i parametri non basta se non si cambia l’obiettivo del sistema.
🔗 Link
-
Gregory Bateson – Verso un’ecologia della mente
Un’opera seminale sul pensiero ecologico, la comunicazione e i sistemi viventi.
-
Fritjof Capra – Il Tao della fisica / La rete della vita
Fondamentale per comprendere la visione sistemica e la connessione tra scienza, ecologia e spiritualità.
🔗 Link
Critica del capitalismo e della sostenibilità come metrica
-
André Gorz – Ecologia e libertà
Una critica profonda del capitalismo verde e della sostenibilità trattata come “gestione efficiente della catastrofe”.
🔗 Link
-
Jason Hickel – Less is More. How Degrowth Will Save the World
Un saggio potente sulla necessità di abbandonare la crescita economica come metrica principale.
🔗 Link
-
Kate Raworth – L’economia della ciambella
Propone un modello economico che integra sostenibilità ecologica e giustizia sociale.
Moneta, baratto e nascita delle economie
-
David Graeber – Debito. I primi 5000 anni
Demolisce il mito del baratto come origine della moneta. La moneta nasce dentro istituzioni centralizzate di potere, come strumento di contabilità del debito.
🔗 Link
-
Treccani – Le forme dello scambio e i sistemi premonetali e monetali
Spiegazione delle prime economie centralizzate nella Mesopotamia, dove i templi gestivano produzione e distribuzione.
-
Giovanni Iuzzolino – Ricchezza e povertà negli archivi della Mesopotamia
Studio sull’economia templare dell’antico Vicino Oriente e sulla gestione dei beni attraverso sistemi di credito.
Altri articoli per te.
Per uscire dalla crisi climatica stiamo utilizzando gli stessi modelli e valori che l'hanno creata. Non te lo sentirai dire spesso ma un business non esiste per vendere. Un business esiste per dare alle persone gli strumenti necessari ad essere davvero felici. La vendita, come l'equilibrio del pianeta, sono solo dirette conseguenze di questo comportamento.