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Cos’è un sistema complesso: perché non lo capisce quasi nessuno?

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Cos’è un sistema complesso: perché non lo capisce quasi nessuno? “Sistema complesso” è diventato una parola di moda. La infilano ovunque: nei convegni, nei piani strategici, persino nei post su LinkedIn con l’hashtag #complexitythinking. Ma la verità? Quasi nessuno sa davvero cosa sia un sistema complesso. E ancora meno persone riescono a pensarci dentro.

Io ci ho messo anni per capirlo — e sto ancora imparando. Ma una cosa è certa: finché non impariamo a leggere il mondo come un sistema complesso, continueremo a curare sintomi invece di trasformare le cause. E a costruire business (e società) che si rompono appena qualcosa cambia.


Cosa non è un sistema complesso.

Partiamo da qui, perché la confusione inizia sempre dalle parole.

Quando diciamo “complesso”, la maggior parte delle persone sente “complicato”.

Ma non sono sinonimi.

Anzi: confonderli è uno degli errori più pericolosi del nostro tempo.

Un sistema complicato è composto da molte parti interconnesse, ma note, stabili, ingegnerizzabili.

Un orologio svizzero, per esempio. Puoi aprirlo, studiarlo, identificare ogni ingranaggio. Ogni parte ha una funzione precisa. Se si rompe, puoi sostituirla. Se capisci il meccanismo, puoi riprodurlo.

Un sistema complesso, invece, è tutt’altra storia.

Prendi una foresta, un alveare, una città.

Non puoi ridurli a singole parti.

Non funzionano per scomposizione.

Hanno comportamenti emergenti: la loro totalità è più della somma delle parti.

Sono non-lineari, adattivi, dinamici, vivi.

Ecco la distinzione chiave:

  • Un sistema complicato può essere ricreato identico o quasi.

  • Un sistema complesso può solo essere coltivato, osservato, accompagnato.

Quando provi a “ottimizzare” un sistema complesso con logiche da ingegnere, spesso lo distruggi.

Prova a pianificare rigidamente una relazione di coppia, o una comunità.

Buona fortuna.

Una metafora in più: la zuppa e l’insalata

Un’insalata è complicata. Sai cosa c’è dentro: lattuga, pomodori, olive, cipolla.

Puoi guardare ogni ingrediente, isolarlo, toglierlo.

Una zuppa, invece, è complessa.

Una volta che tutto bolle insieme, non puoi più separare gli ingredienti.

Il sapore è emergente.

Dipende da quantità, tempi, fuoco, umidità, spezie.

La puoi rifare, ma non sarà mai identica.

Nel business, nella politica, nella vita… la maggior parte dei problemi non sono insalate.

Sono zuppe.

Perché questa distinzione è vitale?

Perché continuiamo a trattare problemi complessi come se fossero complicati.

E quindi applichiamo la logica del controllo, del comando, della checklist.

Risultato? Fallimenti sistemici. Crisi che si ripetono. Soluzioni che peggiorano i problemi.

Un esempio attualissimo: la transizione ecologica fatta con logiche industriali. Stiamo cercando di “riparare la zuppa” come se fosse un ingranaggio. Non funzionerà.

Che cos’è davvero un sistema complesso?

Un sistema complesso è un insieme di elementi che interconnessi tra loro, perseguono uno scopo, una funzione o un obiettivo.

É un insieme di elementi interconnessi che si influenzano reciprocamente, generando comportamenti che non si possono prevedere solo analizzando le singole parti.

Non è la somma che conta.

È la danza.

Immagina un banco di pesci.

Nessuno lo comanda, ma si muove come un unico organismo.

Oppure una folla durante un concerto: nessuno dà ordini, eppure emergono pattern, onde, intensità.

Queste forme di organizzazione non sono progettate.

Emergono.

È questa la chiave: la comportamentalità emergente.

Le 3 parole che devi ricordare:

  1. Interconnessione

    Ogni parte influenza le altre. A volte direttamente, a volte a distanza, a volte nel tempo.

    Una scelta fatta oggi in una filiera produttiva può scatenare conseguenze a migliaia di chilometri — o tra cinque anni. Non è “colpa di qualcuno”. È un effetto sistemico.

  2. Non-linearità

    Nei sistemi complessi, causa ed effetto non sono proporzionali.

    Piccoli input possono generare grandi cambiamenti (effetto farfalla), e viceversa.

    È il motivo per cui molte soluzioni “razionali” falliscono: perché il sistema reagisce, si adatta, muta.

  3. Auto-organizzazione

    I sistemi complessi non hanno bisogno di un leader che comandi.

    Si regolano da soli, in base a regole semplici e interazioni locali.

    Come un formicaio: ogni formica sa poco, ma il formicaio nel suo insieme sa tantissimo.

Qualche esempio concreto?

  • Un alveare: le api comunicano tra loro, si adattano al clima, trovano nuove fonti di cibo, riorganizzano le gerarchie. Il tutto senza un piano centrale.

  • Una città: traffico, economia, cultura, politica. Tutto si intreccia, si risponde, si evolve. Non esiste un “pulsante reset”.

  • Un team: puoi assegnare ruoli, ma la dinamica reale è fatta di relazioni, tensioni, fiducia, adattamenti invisibili.

E perché è importante capirlo?

Perché se non riconosciamo la natura complessa dei sistemi in cui siamo immersi, continueremo a prendere decisioni sbagliate.

Ad esempio:

  • gestire un team come fosse una macchina (e poi stupirci se si demotiva);

  • cercare soluzioni rapide a problemi sociali intricati (e poi chiederci perché ricompaiono);

  • cambiare una regola di mercato e non capire perché ha avuto effetti devastanti altrove.

Capire i sistemi complessi non è filosofia astratta. È una pratica quotidiana.

Un nuovo modo di vedere, progettare, agire.

Con più profondità, e molta più responsabilità.

Cos’è un sistema complesso: perché non lo capisce quasi nessuno?

La risposta breve?

Perché ci hanno insegnato a pensare nel modo sbagliato.

Viviamo in un mondo complesso, ma con una mente addestrata alla semplicità.

E questo crea un cortocircuito costante tra ciò che accade e ciò che siamo in grado di vedere, comprendere, gestire.

Ecco tre motivi profondi (e scomodi) per cui la complessità ci sfugge:

1. Perché siamo stati educati al riduzionismo

Fin da piccoli ci insegnano a dividere, etichettare, semplificare.

Prendiamo un problema, lo spezzettiamo, lo analizziamo per parti.

Poi proviamo a sommare tutto, come se fosse un puzzle.

Ma un sistema complesso non è un puzzle.

Se lo smonti, muore.

Se isoli le sue parti, perdi la musica.

Non puoi capire un ecosistema guardando solo le piante.

Né una comunità guardando solo gli individui.

La relazione è il sistema.

E il pensiero analitico tradizionale lo uccide.

2. Perché la complessità fa paura

Il complicato lo puoi controllare.

La complessità, no.

È fluida. Sfuggente. Ti costringe a tollerare l’incertezza, a convivere con i paradossi, a cambiare idea.

E noi — come individui e come cultura — non siamo bravi in niente di tutto questo.

Preferiamo le scorciatoie mentali. Le formule semplici. I binari netti: giusto o sbagliato, causa ed effetto, colpevole o innocente.

Ma la complessità non funziona così. Non segue script. Non si fa incasellare.

E allora ci disorienta.

Ci mette a disagio.

Così la ignoriamo. O peggio: la semplifichiamo fino a deformarla.

Poi ci stupiamo quando le nostre soluzioni lineari non funzionano, o peggiorano le cose.

Ma non è un errore tecnico. È una rimozione emotiva.

Sai perché la complessità ci fa così paura?

Perché ci ricorda che non abbiamo il controllo. Che siamo vulnerabili. Che possiamo morire.

Sì, hai capito bene: la paura della complessità è, in fondo, la paura della morte.

La complessità implica variabilità, imprevedibilità, esposizione.

E la nostra mente primitiva associa tutto questo a pericolo, a minaccia esistenziale.

Ecco perché — come scrivo ne La fine del capitalismol’intero impianto capitalista si fonda sul tentativo di cancellare la complessità: per illuderci che la morte si possa evitare.

Attraverso il controllo, la crescita infinita, la standardizzazione, l’ottimizzazione permanente.

Ma la vita, quella vera, non è standard.

È complessa.

E paradossalmente, più cerchiamo di scacciare la paura della morte, più — come una profezia che si auto-avvera — finiremo per attirare la morte stessa.

In fondo, questa è la crisi ecologica: il capitalismo che, nel tentativo disperato di negare la morte, sta uccidendo le condizioni stesse della vita.

3. Cos’è un sistema complesso: perché ci manca un linguaggio adeguato

Non è (solo) che non abbiamo le parole. È che non abbiamo ancora fatto esperienza della complessità.

Spesso si dice che “le parole plasmano il pensiero”. Ed è vero — ma solo in parte.

La verità più profonda è che sono l’esperienza e la relazione diretta con il reale a generare i concetti.

E solo quando un concetto prende forma, nasce la necessità di nominarlo.

Il problema è che non viviamo abbastanza la complessità da doverla dire.

Non ci facciamo davvero i conti. Non la tocchiamo. Non ci costringe a cambiare.

E quindi non sviluppiamo un linguaggio capace di raccontarla.

Guarda gli Inuit del Canada, ad esempio.

Vivono immersi nella neve e nel ghiaccio ogni giorno. Ci devono sopravvivere.

E per questo, nella loro lingua — l’inuktitut — hanno sviluppato decine di parole diverse per indicare tipi di neve, di ghiaccio, di tempesta:

  • Aput: la neve sul terreno

  • Qana: la neve che cade

  • Piqsirpoq: la bufera

  • Qimuqsuq: il cumulo trasportato dal vento

Non sono sfumature poetiche. Sono distinzioni vitali, che derivano da un’esperienza concreta, quotidiana, corporea.

Parole nate per orientarsi, decidere, sopravvivere.

Ecco il punto: quando la complessità diventa esperienza vissuta, il linguaggio si adatta. Si espande. Si moltiplica.

Finché invece continuiamo a negare o semplificare la complessità, non potremo pensarla davvero — e tanto meno esprimerla.

Sì, perché in fondo pensiamo anche senza parole: con intuizioni, immagini, emozioni.

Ma se non troviamo il linguaggio per esprimere quel pensiero, non possiamo né condividerlo né costruirci sopra azioni collettive.

E senza condivisione, non c’è trasformazione possibile.

Per questo oggi, nel mondo del business, della politica, dell’educazione, manca un lessico della complessità.

Ci servirebbero parole per nominare le retroazioni, le soglie, le dipendenze invisibili, le crisi sistemiche, le trasformazioni emergenti.

Invece usiamo ancora un vocabolario da catena di montaggio.

Non è solo un limite comunicativo. È un limite di pensiero.

Ma non è irreversibile.

Appena iniziamo ad abitare davvero la complessità — nelle decisioni, nei corpi, nelle relazioni — le parole cominciano ad arrivare.

A volte incerte. A volte sgraziate. Ma sono i primi segni che stiamo tornando a parlare la lingua della vita.

Capire la complessità cambia tutto.

Capire la complessità non è un concetto da studiare. È una soglia da attraversare.

Una volta che la varchi, nulla appare più come prima.

E non perché hai scoperto nuove informazioni ma perché hai cambiato la posizione da cui guardi.

La complessità non è “là fuori”.

Sai dove si trova?

É ovunque.

È anche dentro di te.

Nel tuo corpo che regola temperatura, ormoni, emozioni, senza che tu debba pensarci.

Nel tuo sistema nervoso che reagisce prima ancora che tu decida.

Nelle sinapsi che si riorganizzano mentre leggi queste righe.

Non solo.

Non è solo dentro di te, tu stessa/o sei un sistema complesso!

Lo è il tuo organismo.

Lo è la tua rete di relazioni.

Lo è ogni scelta che fai.

Capire la complessità non è capire il mondo. È ricordare che ne fai parte.

Come una foresta che si auto-regola, anche tu sei fatto di reticoli invisibili, feedback lenti, soglie di rottura, adattamenti silenziosi.

Quando entri davvero in questa prospettiva, non puoi più pensare in termini di controllo, prestazione, ottimizzazione.

Inizi a sentire che ogni cosa che fai propaga effetti.

Che ogni azione è relazione.

Che ogni intenzione ha bisogno di contesto per diventare reale.

È come entrare in una valle senza sentieri segnati.

Non si tratta più di pianificare ogni passo.

Si tratta di imparare ad ascoltare il terreno. I segnali. I cambiamenti di luce e di vento.

Cos’è un sistema complesso: questo cambia tutto.

Nel lavoro, smetti di trattare il tuo team come un organigramma.

Lo vedi per quello che è: un ecosistema vivo, fragile, creativo, pieno di tensioni e possibilità.

Nelle decisioni, smetti di cercare “la scelta giusta”.

Cerchi invece quella sostenibile, adattiva, connessa.

Nelle relazioni, smetti di incolpare o assolvere.

Inizi a cercare le dinamiche che generano i comportamenti.

E nella tua vita interiore, smetti di giudicare ciò che senti.

Inizi a riconoscere i loop emotivi, le retroazioni corporee, i pattern che chiedono attenzione, non controllo.

Capire la complessità non è aggiungere un’idea in più.

É cambiare modo di vedere l'universo.

È passare da essere spettatori a essere parte di una danza cosmica e sistemica.

Che non hai scelto, ma che puoi finalmente iniziare a danzare consapevolmente.

I sistemi complessi sono il modo in cui la natura progetta.

Se c’è un architetto in natura, non usa matita e righello.

Non disegna piani statici. Non prevede tutto. Non ottimizza.

La natura evolve. E per evolvere, usa i sistemi complessi.

Ogni forma di vita, ogni ecosistema, ogni processo biologico che conosciamo, dalla fotosintesi alle reti miceliali, dalla migrazione degli uccelli al tuo stesso sistema immunitario non funziona secondo un comando centrale.

Funziona secondo logiche emergenti, adattive, distribuite.

L’evoluzione non “risolve problemi”.

Genera varietà, sperimenta connessioni, seleziona ciò che funziona nel contesto.

Non lavora per efficienza immediata, ma per resilienza nel tempo.

Una foresta non nasce da un blueprint.

Nasce da miliardi di relazioni invisibili: semi trasportati dal vento, microbi nel suolo, insetti impollinatori, luce filtrata, acqua condivisa.

È un sistema che si auto-organizza, si regola, si rinnova.

In natura, nulla vive da solo.

E nulla viene progettato come un prodotto finito.

La complessità è la base della vita.

Il vivente non è complicato. È sistemico.

E se vogliamo progettare in modo rigenerativo nei business, nei territori, nelle relazioni, non possiamo più ignorare questa grammatica.

Dobbiamo viverla, interiorizzarla, e solo infine studiarla.

Cos’è un sistema complesso: da dove si comincia?

Non serve essere teorici dei sistemi.

Non serve aver letto Bateson, Morin, Capra o Meadows (anche se, se ti viene voglia, te li consiglio).

Si comincia da uno spostamento dello sguardo.

Da un cambio di postura.

Invece di chiederti “come si risolve questo problema?”,

inizia a chiederti:

  • Che cosa sta generando questo problema?

  • Quali relazioni lo nutrono?

  • Cosa accadrebbe se lo guardassi nel tempo, e non solo nello spazio?

Allenare lo sguardo sistemico non è un corso, è una pratica quotidiana.

È iniziare a notare i pattern,

ad ascoltare le retroazioni,

a riconoscere che ogni soluzione contiene un’altra complessità in potenza.

Un primo gesto semplice?

Inizia a fare domande migliori.

Invece di chiederti “chi ha sbagliato?”, prova con:

Quali condizioni hanno portato a questo esito?

Invece di pensare “è colpa del sistema”, chiediti:

Quali parti del sistema sto alimentando anche io, ogni giorno?

Stai nel paradosso. Ascolta i segnali deboli. Accetta la lentezza.

I sistemi complessi non rispondono subito.

Si muovono per accumulo. Per soglia. Per vibrazione.

Serve attenzione, cura, pazienza.

Come un seme sotto terra che sembra morto — ma un giorno spacca il terreno.

E cresce.

Non si tratta di cambiare tutto. Si tratta di iniziare a vedere con occhi più profondi.

Di capire che la complessità non va gestita. Va danzata.

Come si danza una tempesta. O una foresta che si muove.

Allora da dove si comincia?

Da qui.

Proprio da te.

 

Cos’è un sistema complesso: Bibliografia e Link

Systemic Flow - Il mio videocorso sui sistemi complessi.

Tutto è un sistema: piante, business, società… persino tu. I batteri hanno plasmato l’atmosfera, gli alberi comunicano attraverso le radici, i venti modellano i deserti. Ma se tutto è un sistema, perché nessuno ti ha mai insegnato a leggerlo? Senza giri di parole: Systemic Flow ti mostra come funziona il mondo. Perché chi non capisce il sistema, ne subisce inevitabilmente le sue regole.

📖 https://lorenzovalentini.com/regenerative-school/systemic-flow


  1. Gregory Bateson – Steps to an Ecology of Mind

    Un’opera fondamentale per comprendere il pensiero sistemico, l’ecologia mentale e le retroazioni nei sistemi viventi.

    📖 https://en.wikipedia.org/wiki/Steps_to_an_Ecology_of_Mind

  2. Fritjof Capra – The Web of Life

    Un’introduzione accessibile alla teoria dei sistemi viventi e alla complessità come chiave di lettura della vita stessa.

    📖 https://www.goodreads.com/book/show/314114.The_Web_of_Life

  3. Donella Meadows – Thinking in Systems

    Un classico del pensiero sistemico applicato a livello personale, organizzativo e planetario.

    📖 https://www.chelseagreen.com/product/thinking-in-systems/

  4. Maturana & Varela – Autopoiesis and Cognition

    Un testo chiave per comprendere la natura dei sistemi viventi come entità auto-organizzanti e auto-poietiche.

    📖 https://link.springer.com/book/10.1007/978-94-009-8947-4

  5. Stuart Kauffman – The Origins of Order

    Una rivoluzionaria esplorazione dell’auto-organizzazione nei processi evolutivi complessi.

    📖 https://global.oup.com/academic/product/the-origins-of-order-9780195079517

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